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Zoo di Napoli salvo, Mostra d'Oltremare da rilanciare

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Bene il salvataggio, ma non si smembri la mission del polo fieristico
L’odissea dello zoo di Napoli sembra essersi conclusa positivamente. L’imprenditore Floro Flores è il nuovo proprietario.
Oltre a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali (15 dipendenti), il piano di rilancio della singolare struttura flegrea prevede investimenti per oltre 6 milioni di euro per la trasformazione del giardino zoologico in un moderno bioparco. Una trasformazione che per i suoi risvolti finanziari e strutturali segnerà un’ulteriore tappa dello smembramento della Mostra d’Oltremare. Una metamorfosi che comunque non potrà non tener conto dei vincoli di tutela che gravano sulla struttura e della rilevanza del patrimonio botanico.

Già perché lo zoo di Napoli ha una sua storia che lo differenzia da tutte le altre strutture del genere esistenti sul territorio nazionale.

L’area faunistica, costituiva con le serre botaniche e l’acquario tropicale di Carlo Cocchia, la ricostruzione con giardini tematici, villaggi indigeni, della chiesa coopta e moschea libica, nonché di un laghetto artificiale ove galleggiavano le imbarcazioni tipiche dei laghi Tana e Margherita e del Mar Rosso, una rilevante componente del settore geografico dell’Esposizione Triennale delle Terre Italiane d’Oltremare.

Un’istituzione voluta da Mussolini per favorire gli investimenti italiani nelle Colonie e per esaltare le funzioni di “Napoli porto dell’Impero”. Tramontata l’illusione imperiale fascista, negli Anni ’50, Luigi Tocchetti, presidente della Mostra d’Oltremare, che aveva partecipato attivamente alla costruzione della Città dell’Impero, tentò di rilanciare l’istituzione dando vita alla I Mostra Triennale del Lavoro Italiano del Mondo.

Si trattò dell’unico tentativo “filologico” di ri-vitalizzare l’Ente economico-culturale flegreo. Uno sforzo vanificato dalle difficoltà finanziarie incontrate nell’opera di ricostruzione del patrimonio immobiliare e, soprattutto, dalla miopia della politica. In questa occasione, Luigi Tocchetti, pensò di trasformare il parco faunistico, un complesso strutturale nel quale le ardite ed originali soluzioni adottate da Luigi Piccinato, evitarono ad antilopi, scimmie, leoni di dover essere ristretti in ambienti angusti ed ingabbiati, in un giardino zoologico.

Favorì quindi la nascita di una società di scopo amministrata da Franco Cuneo e Claire Wenner, concedendo a titolo gratuito le superfici, gli alloggiamenti, l’energia elettrica e la manutenzione ordinaria e straordinaria. Il 25 ottobre 1950 lo zoo di Napoli, esteso su 21 ettari, con 1365 animali tra mammiferi, uccelli e rettili, apre i cancelli alla città.

Tutto filò liscio sino all’avvento della gestione commissariale dell’Oltremare quando allo zoo vennero addebitate i costi delle varie forniture. Da tali richieste prese origine lo stato di crisi economica che, agli inizi degli Anni ’80, si presentò in tutta la sua drammatica realtà.

Eppure, la struttura faunistica dell’Oltremare con le oltre 500mila presenze annue si poneva saldamente al secondo posto della classifica dei “luoghi turistici” più visitati della Regione Campania, subito dopo gli scavi di Pompei. In realtà, Franco Cuneo e Claire Wenner diedero alla loro creatura, andando oltre il semplice svago, obiettivi di natura scientifica, culturale e didattica, contribuendo, tra l’altro, al salvataggio dalla sicura estinzione dell’Orice bianco d’Arabia.

Dopo il terremoto del 1980, per iniziativa del professor Giorgio Matteucig, cattedratico della Federico II, nel giardino zoologico fu installata una stazione sperimentale della Facoltà di Zoologia per lo studio previsionale dei sismi attraverso le osservazioni delle variazioni comportamentali degli animali. La stazione e la ricca biblioteca scientifica di Villa Leonetti diventarono così il punto di riferimento per quanti intendevano avvicinarsi allo studio dell’interazione tra mutazioni del comportamento animale e manifestazione sismica.

Centinaia di studenti e, soprattutto, un gran numero di scienziati provenienti prevalentemente dalla Cina e dal Giappone conferirono alla stazione sperimentale, e quindi al giardino zoologico di Napoli, una caratura internazionale. L’altissimo numero di visitatori, per la maggior parte studenti universitari e scolaresche, testimoniavano l’effettivo valore culturale e scientifico del parco faunistico, ma non garantivano le necessarie risorse economiche delle quali Cuneo e Wenner avrebbero avuto bisogno per riprodurre gli originari ambienti naturali degli animali.

Le scolaresche e gli studenti universitari, infatti, per effetto delle convenzioni sottoscritte con il Comune, la Provincia e la Regione godevano del libero accesso o di condizioni di favore a fronte di contributi pubblici mai puntuali. Nel disinteresse generale si elevò alta e forte la voce di Antonio Parlato, giovane e brillante avvocato napoletano, neo segretario provinciale del MSI napoletano. L’esponente politico assunse immediatamente la difesa delle ragioni di Franco Cuneo e di Claire Wenner ed impegnò in tal senso e con alterne fortune il partito nelle sue articolazioni istituzionali, territoriali, ambientaliste (Gruppi di Ricerca Ecologica) e sindacali.

Un impegno che si concretò in una marea di pubbliche manifestazioni di solidarietà, volantini, sottoscrizioni di fondi, pressioni sulle istituzioni politiche affinché rispettassero gli impegni previsti dalle convenzioni sottoscritte con la direzione del giardino zoologico. La strategia dettata da Parlato consisteva nel preservare l’unità territoriale della Mostra d’Oltremare, anche valorizzando la valenza culturale del giardino zoologico, in vista di una diversa utilizzazione del complesso “fieristico”, rispettosa delle origini “mediterranee” dell’Ente flegreo.

L’Oltremare per le genti del Mediterraneo, sosteneva Antonio Parlato nella sua funzione di responsabile nazionale per le Politiche del Mezzogiorno, doveva: «divenire una sorta di luogo organizzato dove si analizzino e raccolgano domande ed offerte delle loro produzioni e, al contempo, della cultura, dell’arte, della conoscenza dei beni storici, architettonici, ambientali così che siano cementificati i vincoli della “ comunità mediterranea” ».

La “Mostra Permanente dei Prodotti del Mediterraneo”, ospitata nel quartiere storico restaurato e le “specializzate” organizzate in un nuovo quartiere fieristico da realizzare sui suoli dell’ex polo industriale occidentale, avrebbero consentito all’Oltremare di connotarsi in modo originale, nel rispetto delle sue radici e degli obiettivi istituzionali e di sottrarsi a rischiose ed inutili competizioni con fiere e parchi per il tempo libero sparsi un po’ dappertutto sul territorio regionale e nazionale. Una strategia che trovò il punto più alto nella sua opposizione alla privatizzazione della Mostra ché avrebbe aperto la porta accentuato uno smembramento senza soluzione di continuità e provocato la perdita definitiva di un preziosissimo strumento per la promozione economico-culturale di Napoli nel Mediterraneo.

Con la modifica dell’Ente Autonomo in una Spa tramontava, infatti, il sogno parlatiano di trasformare la Mostra nell’Agorà del Mediterraneo. Una visione questa documentata da innumerevoli interrogazioni parlamentari. L’ostinata ed appassionata difesa di un bene comune dalla privatizzazione selvaggia, dalle trasformazioni urbane che ne snaturavano l’assetto strutturale (abbattimento delle Serre di Cocchia, dei padiglioni delle forze armate), dalle continue alienazioni di fatto l’ex padiglione dell’A.O.I. trasformato in un’autofficina Fiat, i padiglioni su via Terracina metamorfosati in strutture industriali, i suoli esterni al perimetro destinati in origine ai futuri ampliamenti dell’Oltremare. Antonio Parlato lo aveva previsto.

Oggi è la volta dell’alienazione di fatto del Palazzo degli Uffici di Canino e dell’area del parco faunistico di Cocchia e Piccinato, poi sarà la volta dei suoli di Edenlandia e del Cinodromo. Ed il predonismo dell’imprenditoria assistita non si ferma all’Oltremare. Nel deserto della politica e nel disinteresse della pubblica opinione, intanto, una dopo l’altra, strette dagli artigli rapaci della speculazione, vengono sottratte al pubblico interesse le parti pregiate del tessuto urbano: Nisida e l’area occidentale ancora da bonificare, i suoli dell’ex polo industriale orientale, il porto nelle sue parti storiche (Immacolatella Vecchia, Molo S. Vincenzo e ciò che resta del Regio Arsenale borbonico) e non solo.
Lidio Aramu

 

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