L’intellighenzia di sinistra prova a ricompattarsi sulla figura dell’ex pm cercando di recuperare il tempo perduto
A Napoli cresce lo schieramento a sostegno di de Magistris. Molti intellettuali di sinistra, dopo averlo bocciato in un primo momento, sono ora impegnati in una complessa operazione di redenzione per rientrare nel novero dei sostenitori del nuovo salvatore della patria napoletana.
Da queste parti dicono che nascano ogni venti anni, anche se in genere fanno tutti una brutta fine. Bassolino, l'ultimo in ordine di tempo, oggi viene dipinto come un mostro da quelle stesse persone che per decenni hanno beneficiato della sua politica affaristica e clientelare, salvo voltargli le spalle quando il suo castello di carta stava crollando. A Napoli esiste una classe che resta sempre in piedi, pronta a bacchettare, a tracciare la rotta, a indicare cosa è giusto fare e cosa no. Per giustificare le posizioni ballerine, escogitano le argomentazioni più singolari e contraddittorie, senza per questo riuscire a evitare, in taluni casi, di scadere nel ridicolo.
Il successo personale di de Magistris è stato assoluto: ha sbaragliato il campo in modo debordante, un fiume in piena che ha spazzato via quello che restava del Partito Democratico ed ha messo in seria discussione l’affermazione del candidato di centrodestra, Gianni Lettieri, vittima forse di un tono della voce troppo flebile, non adatto a competere con le urla dell’avversario. Gli osservatori più accreditati hanno affermato che de Magistris ha saputo leggere gli umori del popolo, facendo propria la rabbia della gente stufa di decenni di malgoverno, esasperata da una emergenza rifiuti infinita, da una economia cittadina ridotta ai minimi termini. Quello che sorprende, però, è assistere a come l’intellighenzia di sinistra, la stessa che diciotto anni fa veniva stregata da Bassolino eleggendolo a re incontrastato della città, ritenga possibile produrre un cambiamento radicale dello stato delle cose affidandosi a un altro salvatore della patria. Ancora una volta la soluzione individuata non è nella realizzazione di progetti di sviluppo, nella implementazione di programmi condivisi, ma nella capacità dei singoli di “vincere”, di fare presa sulla gente al di là dei contenuti della propria proposta politica, di creare e vendere un personaggio che sappia parlare alla pancia della gente. Una “pancia” arrabbiata, che vuole il sangue, vuole il rovesciamento delle cose in modo radicale, finanche distruttivo, intimidendo il nemico con ogni mezzo se necessario (vedi aggressione a Lettieri nelle vie del centro storico e distruzione del comitato elettorale nella seconda settimana della campagna elettorale).
E De Magistris non si tira indietro, cavalca la protesta, si rivolge direttamente ai cittadini al di là dei partiti, ed usa il linguaggio che questa parte di popolo capisce: bellicoso, volgare, infarcito di slogan e insulti in grado di infiammare la folla che lo acclama. Una folla fatta di studenti e professori, sindacalisti e professionisti, movimentisti dei centri sociali e rappresentanti della borghesia radical chic. In costoro de Magistris ha risvegliato l’orgoglio della rivalsa, riducendoli a pedine impegnate in una incessante opera di galoppinismo mediatico. Basta leggere le bacheche di facebook come quella del prof. Amato Lamberti, già presidente della Provincia di Napoli nell’era bassoliniana, per comprendere come non vi siano argomentazioni a sostegno di questa voglia di cambiamento, ma ci sia solo un incessante e martellante ripetersi di messaggi propagandistici. Un gruppo nutrito ai quali si stanno affrettando ad aggiungersi anche quei rappresentanti dell’intellettualismo di sinistra che non hanno creduto da subito nella forza di de Magistris, preferendo restare fedeli alla linea del centrosinistra ufficiale. Oggi il “vento è cambiato”, quale che sia la traccia lasciata, si moltiplicano le candidature a salire sul carro del vincitore con ragionamenti degni del miglior equilibrista.
Tra questi merita un approfondimento il pensiero di Marco Rossi Doria, che il 24 aprile sulle pagine napoletane de La Repubblica motivava il suo sostegno a Mario Morcone in questi termini: "Egli sta mostrando in queste settimane di volere stare ancorato alle cose da fare, di comprenderne la complessità, di avere più passione per la costruzione di soluzioni che per le denunce e le promesse. Ha un´evidente propensione - nel profilo umano come nel lessico - alla riparazione più che al grido. E Dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Infatti Morcone non evoca il salvatore della patria che tanto danno ha fatto alla nostra città, così incline a farsi intrappolare tra mitizzazione del capo-salvatore e sua trasformazione in capro espiatorio. Se della lunga stagione passata dobbiamo imparare qualcosa, questa è che non abbiamo più bisogno di capi eroici a cui giurare fedeltà e di proclami altisonanti". Dopo il primo turno, tuttavia, ha scoperto di aver sbagliato. C’è da dire che Rossi Doria è uno che sbaglia spesso: tra i sostenitori del rinascimento bassoliniano, ne prese le distanze solo quando, cinque anni fa, si presentò alle comunali con una lista civica come candidato di rottura. Il risultato fu deludente, non arrivò a strappare nemmeno un seggio nonostante il grande sostegno che una parte della “società civile” gli riconobbe. Costretto all’esilio, come lui stesso lo definisce, in quel di Trento dove lavora per l’amministrazione locale, Rossi Doria in tutti questi anni non ha fatto mancare il suo apporto al dibattito napoletano. Implacabile insiste nel proporci le sue mutevoli posizioni, arrivando alla ‘drammatica’ e ‘profonda’ ammissione regalata in una intervista all’Unità all’indomani delle elezioni: “io non ho capito che la rabbia era necessaria, ma visto che l’arrevuoto è accaduto, vuol dire che era filosoficamente (!) necessario. De Magistris, che al ballottaggio va sostenuto con tutte le forze per evitare la sciagura di consegnare il Comune a questo centrodestra, ha interpretato efficacemente la rabbia e l’indignazione della gente, l’insopportabilità della vita civile e sociale”.
Non è nostra intenzione indagare su quanto sia credibile una persona che corregge sistematicamente la sua visione delle cose, adattandola tra l’altro alla realizzazione di determinati eventi. Quello che si fatica a comprendere è su quali basi queste stesse considerazioni si poggino, cosa ci sia oltre la rabbia, perché il professore – e con lui tanti analisti e saggisti dell’ultima ora - rinuncia a indagare sui contenuti della proposta politica, sull’assenza imbarazzante di un programma in grado di andare al di là di slogan generici e vuoti. Quale progetto, quale visione del futuro sta offrendo de Magistris alla città di Napoli? È saggio affidare per l’ennesima volta la soluzione di tutti i problemi a un solo soggetto, usato come scudo per coprire le proprie responsabilità e mancanze? Cosa c’è di innovativo e rivoluzionario nelle argomentazioni che propone dal palco dei suoi comizi? Parlare genericamente di casa e lavoro dignitoso per tutti non significa affrontare e proporre una soluzione per risolvere i problemi, ma solo ridursi a un lungo elenco di slogan ripetitivi e nemmeno troppo originali. De Magistris si propone piuttosto come un mix tra Silvio Berlusconi e Beppe Grillo, un’alternanza di scenari improbabili e insulti rivolti agli avversari. È questo che la gente vuole, ma aizzare le folle e invitare a prendere a “calci nel culo” i rivali non è esattamente quella rivoluzione di cui la città ha bisogno. Dare del ‘gallo ‘ngopp a munnezza’ al presidente del Consiglio o insultare il presidente della Repubblica sulle pagine del suo blog, non lo eleva a una guida seria e credibile, ma acuisce il livello di imbarbarimento di una popolazione sempre più desolata e desolante al tempo stesso, colpevole di aver allevato una classe dirigente e politica che ne è la sua degna rappresentazione. Napoli ha bisogno di pragmatismo, serietà, preparazione, competenze, non di urla né tantomeno di capopopoli. Ed è grave che quella parte della società che dovrebbe fare della cultura e del pensiero il suo pane quotidiano, non ha capito la tragicità del momento, sostenendo un uomo definito dal suo vecchio capo alla procura di Catanzaro come “del tutto inadeguato, sul piano professionale e sul piano dell’equilibrio e sul piano dei diritti delle persone solo sospettate di reato, a svolgere quantomeno le funzioni di pm” (procuratore generale Bruno Arcuri).
Con quali competenze governerà le complessità di Napoli de Magistris? Forse la rabbia è divenuta sinonimo di buongoverno, onestà, equilibrio? Forse la volgarità è divenuta una qualifica da inserire nel curriculum di un politico? L’immagine che traspare dai suoi interventi pubblici è quella di una città alla deriva, pronta ad infiammarsi e specchiarsi dinanzi alla sua anima più becera. Per questo un populista volgare, aggressivo e demagogo come de Magistris non rappresenta solo una delle tante macchiette della sceneggiata napoletana, ma si pone come serio freno alla rinascita di una città che avrebbe bisogno, piuttosto, di acume e saggezza per uscire dalla situazione in cui versa, riscattando l’immagine deturpata che è stata mostrata al mondo intero.
Paolo Carotenuto
20 maggio 2011
Video Luigi de Magistris – Volgarità e insulti sono i tratti distintivi del linguaggio di una persona che fino a pochi anni fa esercitava la professione di magistrato.
Video 1 (spettacolo con artisti vari a piazza Dante) De Magistris: “indigniamoci per quel gallo ‘ngoppa alla munnezza che è Berlusconi”
Video 2 (chiusura campagna elettorale alla rotonda Diaz) De Magistris: “abbiamo scassato”
articolo Rossi Doria 24 aprile 2011
intervista a Rossi Doria 19 maggio 2011 -