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Samuele Bersani all'Acacia: Una serata da dimenticare

 

Nelle due ore e quaranta di spettacolo il cantautore bolognese fa di tutto per rovinare la serata ai malcapitati fans, numerosissimi nonostante i 40 euro del biglietto. Dopo i primi brani eseguiti senza infamia ne lode, in versioni molto fedeli alle registrazioni in studio inizia la via crucis. “Il basso rimbomba troppo” per Bersani, “ sta venendo tutto malissimo ma quando non c’era il pubblico invece andava tutto bene”. Meglio fare concerti in solitudine allora, nessun rischio di delusioni.

Dopo altri due pezzi il cantante insiste “ Mi avevano detto che era per colpa della metro, invece  col cazzo che è vero” e ancora polemiche e sorrisi di circostanza. Nuovo bersaglio poi diventa il pubblico “a Roma cantavano molto di più, se non cantate nemmeno questa me ne vado”. Il pubblico risponde con calore  e grida d’acclamazione ma  il bolognese è ancora scontento, “Almeno quella di Sanremo dovete cantarla dall’inizio alla fine sennò che ci sono andato a fare?”. Inizia la marcetta del nuovo brano Sanremese, piu che il “Pallone” una palla tirata per le lunghissime fino a ripetere incessantemente per  dieci minuti lo stucchevole ritornello. Ma a colpire di più nell’interpretazione del brano e non solo è il desiderio di piacere e piacersi fino all’inverosimile, ammiccare al pubblico di continuo, ballare e sgambettare peggio di una starlette uscita da “Amici”. Un atteggiamento da quarantenne finto timido e  finto giovane che piace alle ragazzine,  un po’ il fratello  sfigato di Jovanotti.

Peccato perché in vent’anni di carriera di brani ragguardevoli Bersani ne ha composti parecchi mettendosi in luce come uno dei migliori cantautori italiani. Anticonformista,  visionario ,paradossale e innovativo ha saputo conquistare negli anni critica e pubblico senza svendersi o snaturarsi. Almeno fino agli ultimi tempi, alle mossette e alle moine un po’ da talent che caratterizzano questo nuovo tour.

I brani cantati in mezzo al pubblico  stringendo mani ( siamo in pieno Mino Reitano) ,facendo foto, accarezzando o prendendo bonariamente “per il culo i fan” sono una facciata posticcia dell’artista che non convince anzi stufa. E a stufare e anche la reiterata presunzione e coscienza di sé, a dispetto di uno spettacolo tutto sommato misero come arrangiamenti e pathos vocale, “Questa è una canzone per me meravigliosa che le radio non passano perché sono omologate e vendute” parlando di “Una delirante Poesia”. Non è mai venuto in mente al nostro che se le radio non trasmettono questo brano è chè radiofonicamente i brani di Battisti/Panella a confronto sono hits da discoteca? Bersani non smette di prendersi troppo sul serio anche in questo tour che di musicalmente serio non ha quasi nulla.

Arriva poi il momento “Piangina”;  nella sua visione del mondo Lucio Dalla è colui che non lo faceva debuttare ma vendere le magliette ai concerti, gli agenti immobiliari sono esseri di serie B, insomma tutto gli sono debitori. E lui che “so chi sono io anche se non ho letto Freud” e il cantautore più figo e più profondo esistente, va da sé. La scaletta del concerto si chiude poi con brani la cui scelta merita una riflessione. Snobbati pezzi d’autore come “Lascia stare” o “Braccio di Ferro” tutto lo spazio va a jingle ritmati  e ipercommerciali che Bersani stesso ha più volte misconosciuto considerandoli frutto della pressione fattagli nel lontano 97  dalla sua casa Discografica  ( è il caso di “ Coccodrilli”). Un escamotage discutibile per trascinare il pubblico a ballare e “ far casino”. Ecco che si chiude con le teen age che ballano sexy da lap dance e lo invitano a salire in staccionata  e il buon Samuele più narciso che mai a ridere sotto i baffi: “Ma siete incontentabili!”. Incontentabili sono invece gli spettatori che avrebbero voluto ascoltare l’autore anticonvenzionale e riflessivo di “Il destino di un Vip” o “Pesce d’ Aprile” e non un finto divo da Hit Parade che lancia  oggetti al pubblico impazzito.

Si chiude cosi una bell’occasione persa per una serata di musica, un ottima occasione invece per capire come gli artisti di talento possano “vendersi” anche passata la soglia della maturità.

Stefano Vosa

 

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