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Zio Vanja, il tragico disincanto della condizione umana

In scena al Teatro Mercadante, fino a domenica 19 aprile, il dramma di Anton Ceckov prodotto dal Teatro Stabile di Napoli, con la regia di Pierpaolo Sepe.

Uno dei drammi più noti del drammaturgo russo Ceckov, Zio Vanja, ritorna a calcare le scene del teatro napoletano. La rappresentazione in scena al Mercadante segue, in ordine di tempo, i precedenti adattamenti rappresentati nell’ambito del Napoli Teatro Festival 2014. La vitalità drammatica del testo potrebbe costituire uno dei motivi delle ripetute rappresentazioni. Non a caso, l’opera di Ceckov, è tra le più note e rappresentate sui palcoscenici internazionali insieme all’altro famoso dramma dell’autore russo, Il Gabbiano.


La malcelata inquietudine del vivere quotidiano accomuna i personaggi descritti da Ceckov. Tutti, ognuno a modo proprio, si sforzano di accettare l’apparente ordinarietà della vita di campagna. Solo due dei protagonisti, lo Zio Vanja (Giacinto Palmarini) e il medico Astrov (Andrea Renzi) manifestano un filosofico quanto irruento disincanto verso l’inevitabile imbarbarimento dell’animo e della ragione provocato dall’inettitudine di un’esistenza vuota, priva di senso.

Un’esistenza che all’apparenza procede nelle insulse incombenze quotidiane, se non fosse scossa dalla presenza provocante e provocatrice di Elena (Gaia Aprea). La seconda moglie del Professor Aleksander (Paolo Serra) rappresenta il fulcro della tragedia esistenziale in cui si affannano i protagonisti: il suo essere bella e desiderata rimane intrappolato nella gabbia di una bellezza incapace di liberarsi dalle meschinità di una vita becera. Elena, forse, incarna la bellezza calpestata dall’azione distruttrice dell’essere umano. Continui, in tal senso, sono i riferimenti alla natura annientata dall’uomo nei discorsi pronunciati da Astrov. L’insulsa esistenza alla quale tutti si sentono condannati ha condotto alla distruzione della natura e dell’uomo stesso, dimentico del valore intrinseco della vita: la bellezza. L’uomo è così inetto da non riuscire per quanto voglia a cambiare lo stato delle cose. Lo dimostra il finale per nulla risolutivo del dramma: zio Vanja e Astrov, entrambi turbati dalla bellezza di Elena, giungono alla disperata consapevolezza che ormai è tardi per vivere in un altro modo. Elena lascia la tenuta di campagna con il marito; Astrov decide di partire per l’Africa e zio Vanja riprende a lavorare nonostante lo sconforto e la sofferenza per una sorte ineluttabile.

Zio Vanja, opera di fine ottocento, comprende elementi tematici aderenti all’apatica esistenza dell’uomo di qualsiasi epoca. Non a caso, il regista ha evidenziato – forse in modo forzato – l’attualità del dramma inserendo in scena oggetti del nostro tempo come il computer portatile, il walkie-talkie, la musica elettronica in un ambiente scarno ed essenziale. Il testo di Ceckov non avrebbe avuto bisogno di aggiunte esteriori come la voce registrata (Sara Missaglia) della madre di Vanja, chiaramente giovanile e suadente rispetto al contesto.

Buone le prove degli attori. Su tutti primeggiano le convincenti interpretazioni di Andrea Renzi (il medico Astrov) e di Giacinto Palmarini (Zio Vanja).
Loredana Orlando

Zio Vanja di Anton Ceckov

Regia Pierpaolo Sepe

Con Giacinto Palmarini, Andrea Renzi, Gaia Aprea, Paolo Serra, Federica Sandrini, Diego Sepe, Fulvia Carotenuto, Sara Missaglia.

Produzione Teatro Stabile di Napoli

Napoli, Teatro Mercadante
25 marzo – 19 aprile 2015

www.teatrostabilenapoli.it

la foto in copertina è di Marco Ghidelli

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