Suonate il corno: l'ultimo saluto al Trattore

Robert "Tractor" Traylor se n'è andato a 34 anni, stroncato da un attacco di cuore mentre parlava al telefono con la moglie nella sua casa di Portorico. Suoniamo un corno in suo ricordo, come succedeva 12 anni fa a Milwaukee

"Pancia di ferro, mano di zucchero". Quando sento il nome di Robert Traylor, al secolo Robert DaShaun Traylor, ripenso sempre a quel vecchio appuntamento di Tripla Doppia con il quale avevo salutato, nell'inverno del 2009, la sua comparsata in quella Martos Napoli affossata dai debiti che chiuse in maniera raccapricciante la stagione schierando gli juniores per metà campionato. Quella Tripla Doppia era titolata proprio così: "Pancia di ferro, mano di zucchero", in omaggio a quei 140 kg compressi in 203 centimetri di altezza che sul parquet si muovevano però con incredibile leggiadria, sostenuti da una tecnica individuale invidiabile per un omaccione di quella stazza. Ora, Robert "The Tractor" Traylor, ci guarda tutti da lassù.

Il suo cuore, già operato per un problema all'aorta nel 2005, un intervento che pose fine alla sua carriera NBA, ha retto soltanto per 34 anni: Traylor è stato ritrovato disteso sul pavimento della sua casa di Portorico, stroncato da un attacco cardiaco. L'unica consolazione è che, almeno, guardava verso l'oceano.

Ma quel cuore, sebbene malato, era un cuore grande, gentile. Chi ha conosciuto Robert Traylor da vicino lo ha sempre dipinto come un orsetto in un corpo da grizzly. Il Trattore non era un uomo cattivo, tutt'altro: "Anche se stesse morendo di fame nel deserto del Gobi - dice di lui Steve Fishman, uno dei suoi amici di vecchia data -, peserebbe lo stesso 120 kg. E' semplicemente un uomo enorme". Fuori dal campo era sempre allegro, gioviale, pronto a scherzare, a stare in compagnia, a farsi in quattro per compiacere un amico. Un personaggio diametralmente opposto a quello che invece hanno brutalmente e cinicamente dipinto 7 stagioni in NBA, all'interno delle quali ce lo ricordiamo più che altro per le sue incredibili lotte con il cibo per mantenere un peso-forma, non dico accettabile, ma almeno lontanamente credibile, e il suo rimanere tre-quattro giri indietro quando il ritmo-partita tendeva ad alzarsi e a rendere insopportabilmente faticoso trascinarsi dietro quei 140kg, capaci di toccare anche punte anche decisamente maggiori.

Ma quando era fresco, il Trattore sapeva anche regalarci delle perle strepitose che ci portavano a chiederci come un uomo di quelle dimensioni potesse avere un tocco così delicato. Ed era anche quello che avevano visto in lui George Karl e i Milwaukee Bucks nel draft del 1998, quando fecero carte false per convincere Dallas a tradare verso il basso e scambiare la sua 6a scelta con l'accoppiata 9-19. Per la cronaca, la 6a scelta fu appunto il Trattore, che finì ai Bucks, la 9a Dirk Nowitzki, e la 19a Pat Garrity, che i Mavs mandarono immediatamente a Phoenix nello scambio che portò a Dallas Steve Nash. Su chi abbia fatto l'affare, lascio a voi trarre le conclusioni.

La stagione '98-'99 fu quella del lock-out. Si cominciò a giocare soltanto a inizio febbraio, ma Robert Traylor, lo "spaccatabelloni" di Michigan University, si allenava due volte al giorno, cominciando alle 5 di mattina. Ma lo faceva per davvero. E ci vollero soltanto sette partite di regular season perché George Karl si rendesse conto del talento grezzo che risiedeva sotto qualche centimetro di grasso di troppo e lo lanciasse in quintetto: un'apoteosi. I tifosi impazzivano per lui, e quando il Trattore segnava, il profondo suono di un corno faceva vibrare le pareti del Bradley Center: i Bucks tornarono ai playoff dopo 8 stagioni di astinenza mentre i Mavs chiudevano all'undicesimo posto a Ovest con il 38% di vittorie. Ma era una tendenza destinata a cambiare presto.

Incapace di controllare il suo peso, Traylor finì presto ai margini delle rotazioni nel suo secondo anno ai Bucks: partì in quintetto soltanto 16 volte e giocò la miseria di 44 partite, ritrovandosi scavalcato da Scott Williams, Darvin Ham, Danny Manning, Tim Thomas e JR Reid. Per spiegare meglio il tutto, basta dire che a fine anno fu coinvolto all'interno di una trade che portò a Milwaukee Jason Caffey.

Traylor cominciò a peregrinare: prima Cleveland, poi Charlotte/New Orleans, poi ancora Cleveland, all'interno di una carriera di basso profilo (4.8 punti e 3.7 rimbalzi in 14.3 minuti di media in 438 gare) che lo portò a essere inserito tra le più grandi "bufale" di sempre del draft. E ogni volta in cui tornava a Milwaukee, il pubblico si faceva sentire, perché a Dallas c'era un tedesco che cominciava a trovare il suo posto nel cielo stellato della NBA. Un tedesco che non indossava la canotta dei Bucks "per colpa" sua. Traylor rispondeva alle critiche con veleno, ma non lo faceva perché era un uomo cattivo. Era soltanto incompreso. E sfortunato, molto sfortunato.

Sottoposto a un intervento chirurgico all'aorta nel 2005, Traylor si trovò la strada sbarrata in NBA quando non superò i test fisici con i Nets l'anno successivo. Ma questo non gli impedì di continuare a fare quello che più gli piaceva, giocare a pallacanestro: si ritrovò nelle minors spagnole, poi a Portorico, poi in Turchia, poi in Italia a Napoli, poi in Messico e poi ancora a Portorico con i Vaqueros de Bayamon.

Nell'estate del 2008 forse ve lo ricorderete anche alla Summer League di Las Vegas, quando diede al nostro Danilo Gallinari, appena draftato, il primo vero assaggio della fisicità delle aree NBA: il Gallo rimase steso al suolo dopo avergli cozzato contro violentemente (il Trattore, invece, non si mosse di un centimetro, nemmeno per prendere lo sfondamento) e per qualche tempo si pensò che fu quel dolorosissimo quanto inaspettato "impatto" la causa scatenante dei problemi alla schiena che lo azzopparono nella sua stagione da rookie. Con i Vaqueros, primi in classifica nel massimo campionato di Portorico, stava viaggiando a 8.1 punti e 6.3 rimbalzi di media: la sua ultima partita risale a tre settimane fa, quando chiuse con 0 punti e 2 falli in 5 minuti prima di essere messo in lista infortunati per un problema non meglio specificato.

Oggi facciamo risuonare ancora per qualche secondo un corno per salutare per l'ultima volta quel grizzly dal cuore gentile.
Daniele Fantini / Eurosport
12 maggio 2011