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da Legno Storto:

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Il porto immobile

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Tra progetti di ammodernamento fermi sulla carta e l'illusione della centralità di Napoli, il Porto è l'ennesima occasione persa della città. In questo quadro si inserisce alla perfezione il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che nel marzo 2012 annunciava: "Nel 2013 a Napoli il Museo del Mare e dell'emigrazione". Chi lo ha visto?
Simile a un fiume carsico, che scorre sotterraneo e riemerge con forza in superficie, il dibattito sul porto di Napoli si arricchisce di ulteriori analisi. Questa volta è il presidente dell’International Propeller Port Club ad associarsi all’autorevole coro degli angosciati dall’impasse in cui versa la governance del sistema portuale e dal mancato rispetto del timing del progetto del “Grande Porto”. Umberto Masucci dopo aver ricordato quanto si è fatto per potenziare “porti minori” in altre parti d’Italia, si chiede retoricamente: «perché a Napoli tutto è più difficile?».

Perché… La risposta è stata già data ed in più occasioni dal segretario regionale della CISL, Lina Lucci. Una risposta chiara, disarmante nella sua semplicità, che le orecchie interessate fingono di non capire: il porto è un “bene comune”. Nel senso che è essenziale alla vita economica della città ed in quanto tale, il complesso delle attività portuali, oltre che a garantire l’imprescindibile redditività delle imprese, deve essere orientato alla crescita complessiva dell’economia napoletana, al beneficio collettivo. La prevalenza del “senso comunitario” sul “senso civile”, che è specificità genomica del popolo napoletano, è in parte responsabile dell’elefantiasi dei tempi decisionali.

Anche la politica concorre a produrre seri danni. I suoi tempi, infatti, non sono assolutamente compatibili con quella rapidità delle decisioni richiesta dall’evoluzione dei mercati e dalle sue molteplici implicazioni.

La vicenda della nomina del nuovo presidente dell’Autorità portuale è l’ennesima, stucchevole dimostrazione di quanto urgente sia, per accentuare l’efficienza e la competitività dello scalo, separare nettamente la politica dalla gestione portuale.

Cosicché mentre a Napoli i bizantinismi frenano ogni spinta al rinnovamento dello scalo marittimo e dove anche l’ordinario dragaggio dei fondali diventa un’opera straordinaria, altrove si costruiscono infrastrutture per l’attracco di mastodontiche porta-container o, come in Spagna, ove Puerto Seco de Coslada – il porto senza mare di Madrid - supporta logisticamente il movimento container di ben quattro scali: Bilbao, Algeciras, Valencia e Barcellona.

Per la prima volta dopo oltre settant’anni, il presidente Caldoro, con l’autorevole concorso dell’Autorità Portuale, dei sindacati, dell’assessorato al Mare della Provincia di Napoli, ha definito e reperito i fondi indispensabili per un radicale ammodernamento del porto. Un intervento finalizzato alla ridefinizione di forme, funzioni ed infrastrutture, antitetico agli interventi di facciata ed episodici sin qui svolti nell’area portuale. Eppure corre il rischio concreto di veder vanificato ogni suo sforzo ed il lavoro sin qui prodotto per i conflitti d’interesse che hanno vita all’interno e all’esterno dell’enclave portuale e che ne condizionano l’esistenza.

Tra gli indicatori dello stato di crisi va senz’altro annoverato il privilegio geografico: “Napoli baricentro del Mediterraneo”, “Napoli trait d’union tra la sponda sud del Mediterraneo e l’Europa”, e amenità simili. Definizioni che, di solito, sono utilizzate per colmare i vuoti della politica o per aprire varchi a ipotesi che ben poco hanno da spartire con la gestione di un “bene comune”. In uno di questi non rari momenti di criticità si decise di far sorgere a ridosso della diga foranea, al di fuori di un piano regolatore dei porti turistici e delle leggi del buon senso per la sicurezza in mare, una “marina” per l’esercizio del diporto nautico ponendo così la parola fine a qualsiasi discorso su futuri ampliamenti della falce portuale.

Al presidente Masucci, com’è noto, sta particolarmente a cuore l’area comprendente il molo San Vincenzo e ciò che resta del Regio Arsenale Navale borbonico (ex Base navale della marina militare).  Su questo spazio, infatti, il Propeller Club Porto of Naples ha pronto da tempo un progetto per la creazione del Museo del Mare e dell’Emigrazione e per un uso commerciale della banchina del San Vincenzo. Un disegno che ha trovato l’adesione convinta del Comune al punto che il trasferimento al demanio comunale della struttura militare sembrava cosa ormai fatta. Il primo cittadino si era persino lasciato andare (2012), annunciando con l’enfasi che gli è propria: «Gli uffici del Comune stanno lavorando a questo progetto e c’è già un crono programma per la sua realizzazione. Nei prossimi giorni si concretizzeranno alcuni atti con la Marina Militare con cui da tempo stiamo lavorando tant’è che per l’inaugurazione dell’America’s Cup, al Molo San Vincenzo verrà aperto un passaggio pedonale. Un primo step per giungere poi, nel 2013, all’apertura completa». Doveva essere la ciliegina sulla torta della seconda edizione della Vuitton cup. Invece, come spesso accade, il suo messianico annuncio si è rivelato del tutto infondato. Il molo è tuttora nella disponibilità dell’Autorità portuale mentre le strutture retrostanti sono ancora in uso alla Marina Militare.

Il San Vincenzo, sottolinea un po’ amareggiato Masucci, ha bisogno ha bisogno anzitutto di un’attenta regia tra Autorità Portuale, Comune di Napoli e Marina Militare perché possa essere goduto in parte dai cittadini e dai turisti ed in parte restituito ad un utilizzo portuale per l’ormeggio delle navi.

Tuttavia potrebbe non bastare dato che il complesso, molo/darsena/edifici storici, è parte integrante di un “bene comune”.

In più occasioni il sindaco de Magistris ha rimarcato l’esistenza di sinergie tra pubblico e privato in grado di utilizzare al meglio il luogo più suggestivo del porto di Napoli.
Ma, anche in questo caso, non è andato oltre la pura enunciazione. Evidentemente si tratta di effetti sinergici ancora allo stato potenziale o, con ogni probabilità, immaginari, considerato che non è stato ancora definito l’istituto deputato ad implementare le risorse umane e finanziarie in grado di generarli.

Sarà varata una partecipata? Una joint-venture? Una S.pA.? Chi definirà e quale sarà la mission di questa “cosa marittima” non è dato ancora saperlo. Di certo occorrerà amalgamare in un unicum strategico Autorità portuale, Comune, Provincia, Regione, Mibac, Marina Militare ed imprenditori privati. Una cabina di regia che favorisca il dialogo lo scambio di competenze, informazioni ed esperienze tra tutti i soggetti interessati alla tutela del “bene comune” e crei una concreta partnership tra istituzioni, imprenditori e comunità per il recupero, la valorizzazione e la gestione dell’area storica portuale San Vincenzo/Darsena borbonica.
Lidio Aramu

 

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