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La risorsa Mare tra valorizzazione reale e vuota retorica

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La Regione Campania vara un grande progetto di tutela ambientale. Oltre 300 milioni di euro saranno destinati alla tutela del mare e delle coste campane. Ben 250 saranno finalizzati alla depurazione. Il recupero della balneabilità rappresenta, infatti, un investimento in termini di economia, cultura e socialità. Il finanziamento si somma ai 500 milioni destinati dal governo regionale campano alla portualità (Napoli e Salerno), logistica e intermodalità. In quest’opera il presidente Caldoro non è solo.


Sulla stessa lunghezza d’onda si ritrova l’assessore al Mare della Provincia di Napoli, Marco Di Stefano. A quest’ultimo va ascritto il merito di aver svolto un duro ed efficace lavoro nel programmare lo sviluppo dell’intero sistema dei porti regionali: Salerno, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata, Torre del Greco, Napoli e Pozzuoli. Un lavoro immane e innovativo che ha portato tra l’altro ad importanti e concrete iniziative per la valorizzazione culturale del porto di Napoli attraverso il recupero dei relitti navali di epoca borbonica e la costituzione del Museo del Mare.

Eppure a Napoli, nonostante ciò, c’è chi crede o tenta di far credere che la “coppetella“, finta America’s cup, e la “festa degli aquiloni” - tenuta sulla Caracciolo “liberata” - abbiano in qualche modo avviata la ricucitura del legame tra i napoletani ed il mare.

Il gioco, tuttavia, non ha più segreti. Alla determinazione mostrata dalle istituzioni governate dal centro destra nella valorizzazione della risorsa mare, come al solito, si contrappongono il nulla dell’amministrazione comunale che tenta, attraverso l’irritante e sterile presenzialismo del primo cittadino, di “mettere le mani” sul lavoro fatto da altri ed una congerie di associazioni “no profit”, organiche al potere politico dominante, sempre pronte ad elargire consigli in presenza di cospicui finanziamenti per la valorizzazione di qualche cosa. Pur con finalità opposte ma solidali tra loro, i due soggetti utilizzano allo stesso modo un fiume di retorica per costruire “verità” metafisiche.

E' risaputo che la retorica è l'arte della comunicazione finalizzata al conseguimento di un dato beneficio. A Napoli, però, la si usa spesso quando non si ha molto da dire, ma si vuole dimostrare l’esatto contrario e, soprattutto, quando si desidera nascondere il reale obiettivo perseguito.
La litania è antica: occorre “sfruttare” il mare come grande risorsa turistica e commerciale e significativo “collante” speciale della nostra città; bisogna valorizzare con un progetto attuabile e concreto quel sistema economico che ruota intorno alla risorsa mare che si compone di una molteplicità di settori o di aree di attività.

E Napoli in questo profluvio di citazioni e figure retoriche diventa di volta in volta (le maiuscole sono di rigore): la Città del Mare e della Cultura; Napoli, Città del Mare Mediterraneo, il Centro del Mediterraneo… Ma attenzione, tra frasi altisonanti e immaginifiche rappresentazioni quasi sempre si leggono o si odono parole come progetto, valorizzazione, o imperativi alla maniera della Buonanima, del tipo: l’Associazionismo deve fare la sua parte. Esse costituiscono la sintesi di tutti i discorsi, un bizantino auto-invito alla spartizione della torta “euristica”.

A prescindere dalla banalità delle definizioni, nessuno, dico nessuno, dei mirabolanti oratori ha la compiacenza di spiegare all’uditorio il perché l’unica istituzione nata per essere l’anello di congiunzione tra Napoli e l’Oltremare, la Mostra, nel silenzio compiacente dell’amministrazione comunale, continua, nei fatti, ad essere smembrata e utilizzata per funzioni di basso profilo. Sarebbe, altresì, interessante conoscere da questi signori come viene “utilizzato” il prezioso patrimonio culturale della Maison de la Mèditerranèe e quali siano le iniziative dal respiro mediterraneo poste in campo dal sindaco de Magistris.

Ecco, involontariamente, anch’io sono caduto nella trappola utilizzando delle domande retoriche. La verità è che Napoli sconta l’atavica mancanza di una classe dirigente adeguata e la perniciosità di una borghesia affarista sempre a caccia di contributi e pubbliche commesse. Spesso si ricercano le radici dei nostri mali nella colonizzazione piemontese, che indubbiamente ci fu. Ma i savoiardi facevano il loro mestiere. A differenza dei deputati meridionali sempre pronti a mercanteggiare la propria dignità, la propria appartenenza, pur di salvaguardare i propri interessi personali. La verità, spesso, è più vicina ed amara di quanto si pensi.
Lidio Aramu

 

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