(Lettera Napoletana) Per una contraddizione solo apparente, gli stessi gruppi e gli stessi personaggi che stanno animando la protesta sulla “Terra dei Fuochi” (area dell’entroterra a Nord di Napoli dove sono stati effettuati per anni sversamenti di rifiuti tossici) si sono indignati per la pubblicazione di un rapporto della Us Navy (Marina militare degli Stati Uniti) sulla qualità dell’acqua nel napoletano, pubblicato da L’Espresso (21.11.2013).
Il settimanale, appartenente al gruppo del finanziere e lobbysta Carlo De Benedetti, è noto per le sue campagne scandalistiche e gode di scarsa attendibilità, ma in questo caso si è limitato a pubblicare ampie parti di uno studio commissionato e condotto da terzi e consegnato, senza che vi fosse alcuna reazione significativa, alle autorità politiche nazionali e locali nel 2009. Lo studio della Marina americana (“Naples Health Awareness“) fu inviato all’Ispra,Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, organo del Ministero per l’Ambiente ed alla Regione Campania. L’Ispra – secondo fonti della Marina Usa citate dal settimanale – dichiarò di voler costituire una commissione tecnica insieme agli americani. “Ma poi non hanno dato seguito alla proposta” (L’Espresso, 21.11.2013).
Alla fine di giugno del 2011 - come dimostra un documento del quale Lettera Napoletana è venuto in possesso - il rapporto è stato nuovamente inviato alla presidenza della giunta regionale della Campania, che convocò una riunione per il 7 luglio successivo, ma anche in questo caso nessun provvedimento concreto fu adottato. Certo, nel servizio de L’Espresso non mancano elementi di confusione, a partire dalla copertina scandalistica (“Bevi Napoli e poi muori”). Lo studio della Marina Usa, in realtà, non riguarda solo Napoli ma è un campionamento di un’area di 1023 km quadrati tra Napoli e Caserta, dove risiedono militari e civili americani. Le repliche scandalizzate del sindaco di Napoli Luigi De Magistris, che ha citato in Tribunale il settimanale chiedendo danni per un miliardo, e quelle della Regione Campania, che a difesa della qualità dell’acqua di Napoli pubblica i dati sul monitoraggio eseguito dalla propria Agenzia per l’Ambiente, l’Arpac, non convincono affatto. I prelievi dell’Arpac, infatti, sono effettuati alla fonte, dove l’acqua sgorga limpida. Quanto all’ABC (”Azienda bene Comune Napoli”), azienda speciale controllata dal Comune creata da De Magistris per sostituire l’Arin, si vanta di eseguire “100mila analisi all’anno”, ma non tiene conto delle numerose infiltrazioni di una rete idrica ormai obsoleta, che per la città di Napoli è ancora in gran parte quella realizzata dai Borbone, ed ha perdite stimate tra il 40 ed il 50%. Sono queste infiltrazioni, e non la qualità dell’acqua alla fonte, a determinare i rischi per la salute individuati dallo studio della Marina Usa.
“L’acqua pubblica del rubinetto – scrivono i tecnici americani nel loro rapporto inviato alle autorità nazionali e locali italiane – era solitamente accettabile, sia che fosse ingerita o utilizzata come risorsa per il lavaggio di persone e cose. Tuttavia sono state rilevate basse concentrazioni di agenti chimici (come piombo e tetracloroetilene) e microrganismi (coliformi fecali e totali, n.d.r.) in abitazioni che ottenevano i loro campioni di acqua da fonti pubbliche”. “La contaminazione dell’acqua pubblica – precisano i tecnici Usa – è stata rilevata nell’acqua del rubinetto di abitazioni di pozzi privati non autorizzati e, in misura molto minore, di quelle che utilizzano una fonte d’acqua potabile pubblica”. Il rapporto indica anche le probabili cause della contaminazione: “problemi con il sistema di distribuzione dell’acqua potabile (bassa pressione in alcune aree), pozzi privati non autorizzati con interconnessioni ausiliarie al sistema pubblico”, con la conseguenza di “acqua mista dal rubinetto”; “manutenzione e disinfestazione inadeguate di serbatoi di ritenzione dell’acqua domestica”, ecc. Sono il cattivo stato della rete idrica, il sistema di distribuzione, la manutenzione inadeguata, non la qualità delle fonti insomma, a determinare i problemi. A bere l’acqua di Napoli non si muore, come ha scritto il settimanale di De Benedetti, ma si possono correre rischi comunque inaccettabili per la salute. Ecco perché a Gricignano d’Aversa (Caserta), come a Capodichino, dove vivono con le loro famiglie alcune migliaia di militari della Marina Usa e della Nato, sono stati installati impianti autonomi di approvvigionamento idrico.
Per garantire realmente la qualità dell’acqua a Napoli ed in Campania occorrerebbero investimenti massicci sulle reti di distribuzione che Stato ed enti locali non sono in grado di fare. Occorrerebbe l’intervento di capitali privati, che evidentemente potrebbero essere remunerati solo con l’affidamento della gestione delle reti. Ma qui scatta il veto dell’ampio schieramento di demagoghi, agitatori di estrema sinistra ed ideologi neo-giacobini che ha promosso i referendum del 2011 sull’ “acqua pubblica”. Tra essi, oltre all’ex leader di “Italia Dei Valori” Antonio Di Pietro, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, il religioso comboniano Padre Alex Zanotelli, che si dedica da anni all’agitazione politica professionale, e gli attivisti dei cosiddetti “Centri sociali” di tutta Italia. Per loro il concetto di “servizio pubblico” non indica un servizio accessibile a tutti, ma un servizio gestito in regime di monopolio dallo Stato o dagli enti locali, cioè dal personale politico designato a gestirli. In perdita e con una qualità scadente, come avviene per tutte le reti, dall’acqua al trasporto, che sono in mano pubblica. Il disavanzo - che comprende gli stipendi elevati degli amministratori - viene coperto dalle tasse sempre più esose pagate dai cittadini. Ecco perché gli stessi indignati ambientalisti che lanciano l’allarme sulla “Terra dei Fuochi”, tacciono invece sull’allarme della Marina Usa sulla qualità dell’acqua.
Ed anche sullo smaltimento di rifiuti tossici nell’entroterra a Nord di Napoli, al confine e nella provincia di Caserta, vengono taciute, in nome dell’ideologia e dei luoghi comuni dell’estrema sinistra, molte verità. Certo, qui (ma anche a Pianura, periferia occidentale di Napoli) sono stati sversati per circa 15 anni rifiuti industriali provenienti da imprese del Nord e del Centro, in accordo con i clan camorristici. Ma chi gestiva il territorio ed avrebbe dovuto proteggerlo erano i politici campani. E campani erano - ad eccezione di Bertolaso, rimasto in carica 9 mesi - tutti i commissari all’emergenza rifiuti ed alle bonifiche che si sono succeduti per 15 anni dal 1994 al 2009. Tra essi Antonio Bassolino, in carica tra il 2000 ed il 2004, il periodo più lungo. Ma allora sulla “Terra dei Fuochi” regnava il silenzio. Alcuni degli indignati ambientalisti, geologi ed oncologi che oggi sfilano in piazza e parlano di “biocidio” (un altro concetto ideologico dell’ambientalismo radicale) facevano i consulenti del Commissariato ai rifiuti, ottimamente retribuiti. Adesso si candidano alla gestione delle bonifiche, che comporteranno finanziamenti molto ingenti, forse affidata ad una legge speciale che aumenterà la discrezionalità su incarichi ed appalti. Neanche si dice che ad accendere i roghi di rifiuti, oggi raramente di scorie tossiche, ma piuttosto di cavi elettrici (per rubare il rame) e di pneumatici da smaltire, sono i nomadi rom e gli immigrati nordafricani che la camorra usa da anni come manovalanza a basso costo.
L’“ABC”, azienda dell’acquedotto di Napoli che non è in grado di garantire l’efficienza della rete idrica, è nata con la consulenza dell’ex assessore di De Magistris, Alberto Lucarelli, un docente di diritto amministrativo che partecipava ogni domenica alle cosiddette “Assise di Palazzo Marigliano” del neo-giacobino avvocato Marotta. E vi partecipava anche l’oncologo Antonio Marfella, un altro degli indignati, che sfila in testa ai cortei con Padre Zanotelli e gli estremisti dei “Centri sociali”.
Gli allarmi sulla qualità della terra, dell’aria e dell’acqua della Campania sono giustificati, e giuste sono le proteste. Ma la loro guida non può essere affidata a chi nasconde le vere responsabilità in nome dell’ideologia, o a chi si straccia le vesti e lancia grida di sdegno solo per alzare il prezzo di qualche consulenza futura. (LN70/13)
Fonte: Lettera napoletana Editoriale Il Giglio